La seconda convinzione nasce dalla necessità di renderci periodicamente conto di cosa lo studente sa, cosa ‘ha imparato’. E allora lo esaminiamo; gli facciamo delle domande e ascoltiamo e valutiamo le sue risposte.
Heinz von Foester Inventare per apprendere, apprendere per inventare in: P. Perticari, M. Sclavi (a cura), Il senso dell’imparare, Milano, Anabasi, 1994
Un mio collega, un compositore di nome Herbert Brun, tempo fa mi fece notare che esistono due tipi di domande: quelle che ha chiamato le ‘domande legittime’, cioè le domande per le quali non abbiamo ancora una risposta e le altre che ha chiamato ‘domande illegittime’, di cui già conosciamo la risposta. Se accettiamo questa distinzione, dobbiamo riconoscere che le domande che gli insegnanti rivolgono agli studenti, sono tutte domande illegittime, di cui già si conosce la risposta; il loro unico scopo è verificare se la sa anche lo studente.
Interessante la provocazione di von Foester. Se ripensiamo alla nostra storia di studenti le domande che ci sono state poste sono state quasi sempre illegittime. E sono domande che non stimolano a rispondere, anzi, invogliano a cercare le scorciatoie. Sono domande che fanno supporre – lecitamente o meno – da parte dello studente che di fronte a lui ci sia qualcuno che lo vuole fregare… e quindi, perché sono più “furbo” cerco di fregarti prima io, innescando una guerra senza fine piena di sotterfugi (suggerimenti sottobanco, copiature…)
Una scuola attiva, in cui si costruisce sapere insieme è una scuola in cui sempre più spesso le domande che si pongono (l’un l’altro studenti e docenti) sono domande che servono a scoprire qualcosa di nuovo. Dietro la possibilità di porre da parte del docente domande “legittime” c’è una visione del docente come accompagnatore “imperfetto” che non sa sempre tutto ma che ha bisogno, come tutti, di verificare, approfondire, studiare, cercare informazioni.