Subito dopo la sospensione delle attività didattiche in presenza, i primi tentativi di dare un senso di normalità – dettati comprensibilmente più dall’istinto che dalla progettazione – si sono rivolti allo strumento più conosciuto: i compiti a casa ben cadenzati e ritmati.
Non è un caso che da diverse voci si sia levato un segnale di allarme. Qualcuno come Paolo Limonta – Assessore all’Edilizia Scolastica del Comune di Milano e maestro elementare – in un post su Facebook parla di “virus dell’ansia da prestazione” e offre – provocatoriamente – una soluzione:
Appello a tutte le mamma e a tutti i papà di bambine e bambini che frequentano la scuola elementare.
post su Facebook di Paolo Limonta del 9 marzo 2020
Se avete maestre e maestri che stanno caricando i vostri figli di enormi quantità di lavori da fare e di pagine da studiare, siete in presenza del virus dell’ansia da prestazione di maestre e maestri.
La regola per combattere questo virus è una sola ed è molto semplice.
Fate svolgere ai vostri figli il dieci per cento di quello che vi sta arrivando da fare attraverso il famigerato registro elettronico.
Per il resto del tempo fategli leggere quello che vogliono, fategli guardare film, fategli costruire qualcosa, fateli perdere in uno strepitoso far nulla, fategli inseguire sogni, fateli sentirsi con gli amici, fateli restare tranquilli.
E, soprattutto, fatevi guidare da loro.
Quando non perdono stupidamente tempo seguendo indicazioni sbagliate, riescono sempre a essere geniali.
E quando rientreranno a scuola saranno felici e avranno voglia di fare un sacco di cose.
Nonostante le loro maestre e i loro maestri.
Che, comunque e per fortuna, sono una minoranza.
Fidatevi.
Ve lo dice uno che se ne intende tanto…
Guardando oltre la provocazione del “dieci per cento dei compiti” c’è un ragionamento sotteso a questo post che merita di essere esplicitato: ogni ragazzo normalmente divide il suo tempo tra scuola e casa. Gli insegnanti vedono una parte di lui (della sua vita e delle sue esperienze) e i genitori ne vedono un’altra. Perché il percorso di sviluppo – anche intellettivo – abbia successo ci vuole un dialogo costante e costruttivo tra le due “agenzie educative” che si preoccupano di lui. Ci vuole un continuo scambio di informazioni e nessuna delle due deve abdicare all’altra.
La scuola non deve avere paura di spiegare il senso di quello che propone (perché chiedo di fare questa attività – a scuola o a casa) e il genitore deve dare un feedback su come le vive il ragazzo (per esempio quando i troppi compiti impattano sulla vita sociale del ragazzo).
Se è vero che l’insegnante ha una professionalità specifica (che normalmente manca al genitore) non dimentichiamoci che questa deve essere “giocata” per il bene di ogni singolo alunno, per fare questo, necessita di molte informazioni: sul ragazzo, sui suoi interessi, sulle sue reazioni emotive, sulle competenze che sviluppa nella vita extra scolastica.
La professionalità dell’insegnante non esautora la famiglia dal suo ruolo educativo, anzi, la scuola funziona bene quando – proprio grazie a questa professionalità – riesce a mantenere vivo il patto educativo tra scuola e famiglia (permettendo ad entrambe le agenzie educative di collaborare per il bene del ragazzo).
Tornando alla questione “come fare didattica a distanza” è stato interessantissimo il passaggio del messaggio del Presidente della Repubblica di venerdì 27 marzo 2020 in cui Sergio Mattarella, ringraziando le diverse categorie a cui va la riconoscenza della Repubblica, cita anche gli insegnanti:
… che mantengono il dialogo coi loro studenti.
Ecco, nella semplicità di queste parole, il Presidente della Repubblica – che rappresenta l’unità nazionale (cioè tutti noi) – ci ricorda che la componente fondamentale del fare scuola – prima dei compiti, delle lezioni, delle conoscenze, delle interrogazioni, dei voti – è il dialogo (che è diverso dalla “lezione”) tra insegnanti e studenti, dialogo che è segno, innanzitutto, di una relazione educativa.
immagine di copertina di jacqueline macou da Pixabay