Mi rendo conto, dialogando con chi vive la scuola tutti i giorni, che non è sempre facile orientarsi nella selva di termini che sono in uso a proposito di compiti: compiti significativi, compiti autentici e compiti di realtà. Tentiamo di fare un po’ di ordine.
Partiamo con una prima distinzione tra compiti scolastici e compiti significativi. I compiti scolastici (quelli che per tradizione la scuola propone agli alunni) sono uno strumento nato per aiutare gli alunni a esercitare delle abilità o a fissare delle conoscenze. Pensiamo, ad esempio, ai classici esercizi di matematica che nei libri abbiamo tradizionalmente trovato raggruppati per argomenti: esercizi sui prodotti notevoli, sull’area dei triangoli, e via così…
Sono esercizi “specializzati” pensati per permettere, con l’uso ripetuto, di fissare una conoscenza (seguendo l’esempio, le formule dei prodotti notevoli o quelle dell’area del triangolo) e per sviluppare le abilità di uso di queste formule. Ma sono evidentemente esercizi di “addestramento” che restano nell’ambito di un terreno noto (devo prima aver studiato i prodotti notevoli o l’area dei triangoli per risolverli).
I compiti significativi si discostano per due motivi. Innanzitutto perché sono attività significative per il ragazzo che li svolge (e quindi non si svolgeranno in maniera perfettamente identica per tutti i ragazzi) quindi più interessanti e coinvolgenti. E poi sono compiti “aperti” e imprevedibili perché le attività significative inevitabilmente intercettano la vita reale (che non può essere prevista a priori). Siamo con questo secondo aspetto passati dal campo delle conoscenze e abilità a quello delle competenze
Con questa prima distinzione non siamo molto distanti da quello che Dewey scriveva a inizio ‘900
Ma è indispensabile discriminare fra i problemi genuini e quelli finti o simulati. Le seguenti domande possono aiutare a fare questa discriminazione. (a) Vi è qualcosa oltre al problema? La domanda suggerisce qualcosa che rientri in qualche situazione di esperienza personale? O è una cosa distaccata, un problema con l’unico scopo di trasmettere l’istruzione in qualche argomento scolastico? È un genere di tentativo che sveglierebbe l’osservazione e impegnerebbe la sperimentazione al di fuori della scuola? (b) Si tratta di un problema proprio dello scolaro, o di quello del maestro o del libro di testo, reso un problema per l’allievo solo perché egli non può ottenere il voto necessario, o essere promosso, o avere l’approvazione del maestro se non lo risolve? Evidentemente queste due domande si sovrappongono. Sono due modi di arrivare allo stesso punto: è quell’esperienza una cosa personale di natura tale da non poter non stimolare e dirigere l’osservazione dei nessi impliciti e da portare alla deduzione e alle sue prove? O è imposta dall’esterno, e il problema dell’allievo è semplicemente di far fronte alle esigenze esterne?
John Dewey Democrazia e educazione in John Dewey Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1954 pp. 159-160
Se, per esempio, un alunno intrattiene una corrispondenza con un ragazzo di una classe gemellata, starà svolgendo una attività significativa (scrive con attenzione e impegno non per il voto ma per comunicare con un amico) e imprevedibile (non decide a priori l’insegnante il “titolo” o l’argomento della lettera ma sarà il ragazzo a deciderlo man mano che lo scambio epistolare procede).
All’interno dei compiti significativi possiamo poi distinguere tra compiti autentici e compiti di realtà. Spesso i termini sono usati come sinonimi ma non è così. Possiamo dire che i primi sono una simulazione della realtà mentre i secondi operano nella realtà. C’è un esempio che ci può aiutare a chiarire la questione meglio di tante spiegazioni. Quando nell’esame teorico della patente ci troviamo di fronte alle schede sulle precedenze (vi ricordate gli schemi in cui a un incrocio arrivano una macchina gialla, una macchina rossa e il tram e si deve indicare chi ha la precedenza) stiamo svolgendo un compito autentico che chiede di mettere in gioco sia le conoscenze (sulle regole del codice della strada che riguardano le precedenze) sia le nostre capacità di usare quelle regole in contesti reali (anche se non siamo realmente in macchina). Ma quando, durante l’esame pratico, ci troviamo a un incrocio, allora stiamo svolgendo un compito di realtà perché le stesse conoscenze e capacità di prima le mettiamo in gioco nella situazione reale.
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