La recente nota del Ministero dell’Istruzione con le Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza (nota 338 del 17 marzo 2020) ci offre alcuni spunti di riflessione interessanti.
Proviamo a rileggerne alcuni passaggi dando spazio ad alcune riflessioni.
Innanzitutto sottolineiamo queste parole in apertura del documento:
Occorre ritornare, al di fuori della logica dell’adempimento e della quantificazione, alle coordinate essenziali dell’azione del sistema scolastico.
Ecco, il rischio da spazzare via subito è quello di fare delle cose perché così si è “timbrato il cartellino”, per mettersi al riparo da eventuali sanzioni. Il Ministero, in qualche modo, ci riporta a un orizzonte di senso: decidiamo cosa fare dopo aver riflettuto su cosa è essenziale che ci sia (anche se in una modalità diversa dal solito) perché a scuola sia veramente scuola. E questo, continua la nota, ci riporta a due aspetti che devono convivere: fare comunità e garantire un percorso di apprendimento. Interessante che vengano proposti proprio in questo ordine. Forse questo momento così strano ci potrà ricordare che l’apprendimento non è un processo asettico, se vogliamo che si sviluppi ci vuole un legame tra le persone che vivono la scuola. Che non vuol dire diventare tutti “amici” e perdere ogni asimmetria, ma ricordarsi che il legame permette di far funzionare quell’asimmetria che accompagna nella crescita.
Rispetto al percorso di apprendimento
è anche essenziale fare in modo che ogni studente sia coinvolto in attività significative dal punto di vista dell’apprendimento, cogliendo l’occasione del tempo a disposizione e delle diverse opportunità (lettura di libri, visione di film, ascolto di musica, visione di documentari scientifici…) soprattutto se guidati dagli insegnanti. La didattica a distanza può essere anche l’occasione per interventi sulle criticità più diffuse.
Dobbiamo usare bene questo tempo. Approfittiamone per inventare (se non lo abbiamo già fatto) delle attività significative per i ragazzi (guardate qui per qualche spunto). Tanto più in un momento in cui anche fisicamente non c’è la divisione tradizionale tra tempo passato a scuola e tempo passato ad affrontare la vita reale dobbiamo approfittare di questo “mescolamento” e far scoprire ai ragazzi che la scuola serve alla vita reale. Che quello che si impara nel lavoro scolastico non serve solo per i voti ma per la vita vera. Ma questo si riesce a fare solo proponendo attività significative – per i ragazzi – e dando loro una rilettura con i criteri della scuola. Ricordiamoci che le attività significative portano a lavorare sull’agire competente e questo è uno dei compiti fondamentali della scuola.
Stiamo vivendo un tempo “strano” in cui non potremo correre dietro a un “programma” da finire per forza. Sfruttiamolo “per interventi sulle criticità più diffuse”. In molte case questo periodo con un ritmo diverso è un tempo per “le grandi pulizie” (rimettere in ordine spazi che fino ad ora erano rimasti abbandonati perché non c’era tempo). Vale lo stesso per l’attività didattica. Visto che dobbiamo rallentare, approfittiamone per mettere in ordine quello che è rimasto fuori posto, ad esempio per proporre attività di recupero e potenziamento (magari personalizzandole per le esigenze di ogni ragazzo – è un lavoro imponente ma tornerà utile i prossimi anni).
Una voce tranquillizzante
Questa nota intende limitarsi a fornire un quadro di riferimento a quanto finora fatto e ricondurlo in un contesto di sostenibilità operativa, giuridica e amministrativa e cerca di fare tesoro di ciò che le istituzioni scolastiche, attraverso la loro attività e lo scambio continuo delle migliori pratiche, stanno facendo. Non altro. Il principio che guida e sostiene l’attività delle autonomie scolastiche resta comunque, per quanto a ciascuna di esse sia possibile, di dare validità sostanziale, non meramente formale, all’anno scolastico. Perché in questo essenziale elemento consiste il “fare scuola”: insegnare e apprendere, insieme.
Un documento che arriva dal Ministero spesso rischia di creare – per una sorta di reazione automatica – iper-attivismo: devo far vedere che sono in linea con le indicazioni che trovo nel documento (magari senza capirne esattamente il senso). Ma la nota non prescrive, aiuta a fare ordine e a progettare – in virtù dell’autonomia scolastica – azioni sostenibili (e aggiungeremmo sensate). Il documento ci riporta alla realtà con una frase interessantissima: quell’espressione “per quanto a ciascuna di esse [istituzioni scolastiche] sia possibile, di dare validità sostanziale, non meramente formale”. Immagino che in questi giorni molti dirigenti e molti collegi docenti si stiano interrogando sulla questione della validità dell’anno. Ecco, qui il Ministero sembra sparigliare le carte sottolineando non tanto la validità formale (ho fatto tot giorni di lezione, ho fatto tutti gli argomenti, ho fatto abbastanza interrogazioni…) quanto la validità sostanziale: le cose che abbiamo fatto in questi giorni sono state “attività didattica”? E cosa intendere per attività didattica ce lo dice poco dopo.
Le attività di didattica a distanza, come ogni attività didattica, per essere tali, prevedono la costruzione ragionata e guidata del sapere attraverso un’interazione tra docenti e alunni. Qualsiasi sia il mezzo attraverso cui la didattica si esercita, non cambiano il fine e i principi.
Ecco due criteri interessanti: una costruzione ragionata e guidata del sapere e l’interazione tra docenti e alunni. Dove l’interazione è una attività costruttiva (qualcosa di più di “io spiego tu ascolti” o ” io interrogo tu rispondi”) che porta appunto a costruire insieme il sapere. Il docente non è un mero ripetitore di saperi che ha acquisito, ma è un progettista che crea percorsi di lavoro collettivo in cui tutti imparano qualcosa (anche lui che può finalmente ammettere di non essere onnisciente).
Non basta assegnare delle pagine da studiare e dei compiti da fare. Se bastasse questo per garantire l’apprendimento potremmo tranquillamente licenziare tutti gli insegnati e mandare a casa dei ragazzi dei buoni libri corredati di esercizi. Il passaggio chiave è la relazione.
La didattica a distanza prevede infatti uno o più momenti di relazione tra docente e discenti, attraverso i quali l’insegnante possa restituire agli alunni il senso di quanto da essi operato in autonomia, utile anche per accertare, in un processo di costante verifica e miglioramento, l’efficacia degli strumenti adottati …
Se guardiamo bene siamo pienamente nel terreno della didattica flipped. L’interazione (quella che normalmente è la porzione di tempo che l’insegnante condivide in classe) serve a “restituire il senso di quanto essi hanno operato in autonomia” proprio come nella didattica flipped in cui la “lezione” è una rilettura a posteriori del lavoro fatto.
Stiamo vivendo una situazione eccezionale e non dobbiamo farci prendere dall’ansia da prestazione (finire le nostre programmazioni di inizio anno).
… appare opportuno suggerire di riesaminare le progettazioni definite nel corso delle sedute dei consigli di classe e dei dipartimenti di inizio d’anno, al fine di rimodulare gli obiettivi formativi sulla base delle nuove attuali esigenze.
Se sono cambiate le condizioni in cui fare scuola anche i nostri obiettivi didattici cambiano e si ri-programma. Anche perché la didattica on line chiede maggiori attenzioni sui tempi di lavoro dei ragazzi (molto di quello che facevano in presenza lo fanno davanti a uno schermo con tute le implicazioni per la vista).
Alcune attenzioni specifiche
Per la scuola dell’infanzia è opportuno sviluppare attività, per quanto possibile e in raccordo con le famiglie, costruite sul contatto “diretto” (se pure a distanza), tra docenti e bambini, anche solo mediante semplici messaggi vocali o video veicolati attraverso i docenti o i genitori rappresentanti di classe, ove non siano possibili altre modalità più efficaci. L’obiettivo, in particolare per i più piccoli, è quello di privilegiare la dimensione ludica e l’attenzione per la cura educativa precedentemente stabilite nelle sezioni.
Forse la scuola dell’infanzia è il segmento in cui più di tutti bisogna prestare molta attenzione nel pensare attività di didattica a distanza. Intanto i bambini non sono autonomi e quindi l’elemento chiave è il raccordo con le famiglie.
Le famiglie sono il tramite con cui l’attività progettata dalle maestre si può realizzare a casa. Questo fatto è qualcosa che cambierà il nostro modo di fare scuola per sempre. Se ce lo giochiamo bene le famiglie diventeranno l’alleato più prezioso per la scuola. Se le aiuteremo a capire il senso delle attività che la scuola propone (non per l’attività in sé – spesso banale come un “travaso” – ma per la competenza che sviluppa) diventeranno un moltiplicatore delle attività della scuola e avremo dei bambini che potranno più facilmente sviluppare le competenze di base. Questo se chi lavora nella scuola accetta la sfida di lavorare veramente per competenze. Se leggiamo bene la nota ministeriale non ci obbliga a fare nulla, non vincola a un tipo preciso di “contatto diretto” (se non siamo in grado di fare un buon video basta un vocale). L’importante (perché continuano a valere le indicazioni nazionali) è che le attività che proponiamo non siano un tappabuchi, ma aiutino i bambini – col supporto prezioso dei genitori – a sviluppare le competenze che ci si aspetta da loro in uscita dalla scuola dell’infanzia.
Per la scuola primaria (ma vale anche per i successivi gradi di istruzione), a seconda dell‘età, occorre ricercare un giusto equilibrio tra attività didattiche a distanza e momenti di pausa, in modo da evitare i rischi derivanti da un’eccessiva permanenza davanti agli schermi.
La nota sembra dirci che va bene l’uso del video ma non dobbiamo tenerli incollati al monitor tutto il giorno (come sembra succeda in qualche caso). Non è salutare e non è educativo (provate a immaginare quando i genitori dovranno dire a una ragazzo, alle prese coi videogiochi, di non stare troppo davanti al computer perché fa male)
In particolare negli istituti tecnici e professionali, caratterizzati da una didattica declinata tipicamente nella duplice dimensione della teoria e della pratica laboratoriale, ove non sia possibile l’uso di laboratori digitali per le simulazioni operative o altre formule, che pure diverse istituzioni scolastiche stanno promuovendo, il docente progetta – in questa fase – unità di apprendimento che veicolano contenuti teorici propedeutici, ossia da correlare in un secondo momento alle attività tecnico pratiche e laboratoriali di indirizzo.
Questo principio guida – più evidente in percorsi scolastici dove i laboratori pratici sono parte importante del curricolo – potrebbe essere una indicazione utile per tutti: se non posso fare bene alcune attività (in questo caso i laboratori) mi concentro su altro e quell’attività la recupererò dopo.
Infine la valutazione
Intanto, introducendo il tema della valutazione, il documento richiama a quanto già detto nella nota 279/2020:
Si ricorda, peraltro che la normativa vigente (Dpr 122/2009, D.lgs 62/2017), al di là dei momenti formalizzati relativi agli scrutini e agli esami di Stato, lascia la dimensione docimologica ai docenti, senza istruire particolari protocolli che sono più fonte di tradizione che normativa.
Questo mi sembra un chiaro richiamo alle responsabilità che derivano dall’autonomia scolastica.
Ma la cosa interessante è che dopo aver richiamato la necessità di valutare anche in questa fase di didattica a distanza, la nota specifica cosa si debba intendere per valutare:
Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica, qualsiasi sia la forma nella quale è esercitata. Ma la valutazione ha sempre anche un ruolo di valorizzazione, di indicazione di procedere con approfondimenti, con recuperi, consolidamenti, ricerche, in una ottica di personalizzazione che responsabilizza gli allievi, a maggior ragione in una situazione come questa.
Si tratta di affermare il dovere alla valutazione da parte del docente, come competenza propria del profilo professionale, e il diritto alla valutazione dello studente, come elemento indispensabile di verifica dell’attività svolta, di restituzione, di chiarimento, di individuazione delle eventuali lacune, all’interno dei criteri stabiliti da ogni autonomia scolastica, ma assicurando la necessaria flessibilità.
La valutazione è da intendersi come un processo che aiuta il ragazzo a capire cosa ha sbagliato, perché possa, alla prossima occasione, fare meglio. E questo dovremo ricordarcelo anche quando sarà finito questo momento così strano per la scuola.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay