Il gioco è una cosa seria


Nonostante la quasi infinita varietà e con costanza davvero notevole, la parola gioco richiama sempre i concetti di svago, di rischio o di destrezza. E, soprattutto, implica immancabilmente un’atmosfera di distensione o di divertimento. Il gioco riposa e diverte. […] Il gioco, infatti, non produce alcunché: né beni né opere. A ogni nuova partita, giocassero pure per tutta la vita, i giocatori si ritrovano a zero e nelle stesse condizioni che all’inizio. I giochi a base di denaro, scommesse o lotterie, non fanno eccezione: non creano ricchezze, le spostano soltanto.

Questa fondamentale gratuità del gioco è appunto l’aspetto che maggiormente lo discredita.

Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani – dall’introduzione

È interessante rileggere queste parole di Caillois con lo sguardo di oggi. È verissimo il fatto che il gioco, in un mondo dominato dall’aspetto economico, proprio perché – apparentemente – gratuito non ha valore e quindi non merita nemmeno tempo (perché come dice il proverbio “il tempo è denaro”).

Ma, se pensiamo al tema delle competenze, non è più così vero quello che diceva Callois negli anni ’60. La maggior parte dei giochi chiede, infatti, di mettere in atto strategie e modi di agire che rinforzano lo sviluppo di molte competenze (anche quelle previste nei percorsi scolastici). Partita dopo partita è vero che il gioco ricomincia ogni volta da capo ma siamo noi che siamo diversi, ogni volta un po’ più competenti.

Noi (e qui intendo chi ha almeno una quarantina d’anni) nel tempo libero spesso ci divertivamo con una serie di giochi definiti “tradizionali”: battaglia navale, nomi-cose-città, campana e tanti altri. Sembrano – soprattutto se viste con l’occhio di oggi – attività banali ma, se li osserviamo con occhio attento, erano un modo per mettere in atto forme di agire competente in ambito extra-scolastico che rinforzavano le attività scolastiche. Per giocare, ad esempio, a nomi-cose-città le conoscenze imparate a scuola sono utilissime e il gioco rinforza il lavoro scolastico.

Se perdiamo completamente questa porzione di attività (perché ci si limita a giocare con tablet e gadget elettronici – e sottolineo “ci si limita” perché giocare coi videogiochi in sé non è un problema – o perché gli adulti oberati dal lavoro non hanno più tempo di giocare coi bambini) ci troviamo di fronte a due possibili scenari: o la formazione scolastica li recupera oppure i nostri ragazzi avranno meno possibilità di crescere competenti.

Forse questo momento di straniamento dovuto al coronavirus può essere una occasione per fermarci, riflettere e riscoprire quello che abbiamo di bello a portata di mano, quello che la tradizione ci ha consegnato e possiamo recuperare e riproporre non per un generico “si è sempre fatto così” ma perché, ragionando, ci accorgiamo che è ancora utile.


immagine di copertina di cherylt23 da Pixabay