Alcuni anni fa ho avuto la fortuna di incontrare Dominique Imbert. Se state sfogliando il vostro “repertorio pedagogico” e il nome non vi dice niente non preoccupatevi, non è un pedagogista ma un designer che si occupa di camini (maggiori dettagli qui).
Mi ha colpito molto il racconto di un episodio della sua vita. Imbert riceve una richiesta dallo studio dell’architetto Foster per la realizzazione di un camino con delle specifiche molto dettagliate. Probabilmente qualunque architetto o designer farebbe i salti mortali pur di firmare un progetto per sir Norman Foster (uno degli architetti viventi più famosi) ma Dominique Imbert risponde con un fax lapidario: “Life is too short to make shit” (che potremmo tradurre – cercando di essere più educati possibile – con “La vita è troppo corta per creare letame”). Dopo qualche giorno riceve una richiesta direttamente dall’architetto Foster che più o meno suona così: “Lo faccia come vuole ma mi faccia un suo camino”.
L’episodio mi è tornato in mente in questi giorni perché mi portava a fare due considerazioni sul tempo che viviamo.
Innanzitutto in diverse persone questo momento così strano ha un effetto “purificante”. Dopo anni passati a correre come criceti nella loro ruota, inseguendo cose probabilmente poco utili, siamo stati costretti a fermarci e ad avere tempo per ragionare e per valutare le priorità che ci eravamo dati (meglio un lavoro stressante ad alto reddito o un lavoro più modesto ma più sereno, meglio l’appartamento nel quartiere cool di Milano o la villetta col giardino, …).
Quando ci sono momenti di crisi è normale (sarebbe preoccupante il contrario) fermarsi e valutare se la direzione che stiamo percorrendo è la migliore, soprattutto quando la crisi, come questa, ci porta a riconoscere che non siamo invincibili e immortali e quindi ci aiuta a rivalutare il tempo che abbiamo a disposizione i criteri valoriali che usiamo per decidere come utilizzarlo.
Ma questa frase così provocatoria – Life is too short to make shit – dovrebbe risuonare come un mantra nella testa di chi ha un ruolo educativo e formativo. Infatti non solo la vita è corta ma anche il tempo che un insegnante può condividere coi suoi alunni è limitato (ancor di più in questi giorni) e quindi non va sprecato. La scuola a distanza può essere una splendida occasione per “fare pulizia” nelle pratiche didattiche che si sono accumulate senza che ce ne fossimo accorti (un po’ come le cianfrusaglie che in casa si mischiano nel tempo agli oggetti utili e servono solo a occupare spazio e raccogliere polvere). Adesso che i tempi di “connessione” sono limitati viene più facile chiedersi come sfruttare al meglio il poco tempo disponibile (per un criterio di efficienza) perché porti il maggior risultato possibile (e questa è efficacia).
Ma la cosa più importante è non dimenticarsi di tutto ciò quando l’emergenza sarà finita. Quando si tornerà in classe sapremo far tesoro di quello che abbiamo imparato? La strategia passa inevitabilmente dal documentare. Se in questi giorni – come peraltro bisognerebbe fare sempre (magistrale è l’esperienza di Mario Lodi e del suo famoso diario di bordo “C’è speranza se questo accade al Vho“) – si riesce a tenere traccia di quello che si sperimenta e dei risultati che ne derivano, poi sarà possibile ripartire da qui… altrimenti, finita l’emergenza, torneremo a fare le cose di prima, nello stesso modo di prima. Avremo sprecato una occasione per migliorare la didattica e avremo sofferto e basta.
immagine di copertina di Sabine van Erp da Pixabay