Riflettendo sul tema dei voti e della valutazione sono andato a riprendere gli appunti di un corso per IRC della Diocesi di Novara in cui il professor Piero Cattaneo ridava, magistralmente, ai partecipanti le coordinate fondamentali della questione.
Ricordava innanzitutto che verifica e valutazione non sono sinonimi (anche se, purtroppo, vengono spesso intesi come interscambiabili). La verifica raccoglie dei dati sul processo di apprendimento e sui suoi esiti (dobbiamo riconoscere però che troppo spesso ci si focalizza su questi ultimi). I dati raccolti servono a tenere sotto controllo il processo in corso, sono un modo per fissare nella memoria alcuni passaggi chiave in vista della fase successiva: la valutazione. In questa fase si esprimono dei “giudizi”. Lo scopo di questa fase è individuare gli aspetti critici del processo di apprendimento e accompagnare gli allievi a migliorare (non a caso si parla di valutazione formativa). La valutazione può essere poi espressa e condivisa attraverso un voto numerico o un giudizio sintetico.
Ecco, l’impressione è che il sistema scuola abbia, purtroppo, spinto nel corso degli anni, gli insegnanti a ridurre il ventaglio delle possibilità e a limitarsi all’uso dei voti.
Forse, in parte per paura delle possibili contestazioni dei genitori, si preferisce utilizzare un voto “oggettivo” (che poi in realtà così oggettivo non è) su una performance, piuttosto che esprimere dei giudizi formativamente utili sul percorso di crescita. Forse c’è l’idea che sia il Ministero a costringere gli insegnanti a dare i voti durante l’anno. Ma non è proprio così, come ci ricorda anche una delle ultime note del Ministero:
Si ricorda, peraltro che la normativa vigente (Dpr 122/2009, D.lgs 62/2017), al di là dei momenti formalizzati relativi agli scrutini e agli esami di Stato, lascia la dimensione docimologica ai docenti, senza istruire particolari protocolli che sono più fonte di tradizione che normativa.
Nota MIUR 279/2020
Forse si preferiscono i voti perché rendono più semplice calcolare una media a fine anno (elemento che dovrebbe saltare con l’emendamento Iori). E questo è l’altro problema. Dovremmo forse tornare a dirci che la media non è sempre lo strumento corretto per elaborare i dati ottenuti dalle verifiche. Provo a fare due esempi molto semplici ma anche molto chiari:
- Uno studente viene interrogato sui Greci e prende 4. Poi, dopo qualche settimana, viene interrogato sui Romani e prende 8. La sua media è 6 ma questo numero è evidentemente un guscio vuoto: non dice nulla sul suo percorso. Sarà promosso ma continuerà a non sapere nulla dei Greci;
- Uno studente nel primo tema dell’anno prende 4, nel secondo ha ancora grossi problemi e prende ancora 4. Poi comincia a capire come muoversi e prende 5. Con un po’ di impegno migliora ancora e negli ultimi due temi prende 6 e 6. Se calcoliamo la media il voto a fine anno è 5 ma, ancora una volta, questo voto non dice nulla del suo percorso che è stato segnato da una netta crescita e si è concluso con un livello sufficiente
Ben ce lo ricorda, in maniera più tecnica, Mario Castoldi all’inizio del suo volume sulle rubriche valutative:
All’origine di tale paradosso c’è un equivoco di fondo connesso a quanto abbiamo richiamato in precedenza: il voto scolastico, pur utilizzando come simboli dei numeri, non ha le caratteristiche di una variabile metrica per la semplice ragione che non si fonda su un’unità di misura univoca e identificabile; detto in altri termini, i numeri utilizzati nei voti scolastici hanno un valore ordinale, consentono quindi di esprimere delle graduatorie (chi ha un apprendimento migliore e chi ne ha uno peggiore), ma non posseggono un valore cardinale, ovvero non si basano su un’unità di misura che consenta di fare somme, medie e altre diavolerie di questo genere.
Mario Castoldi, Rubriche valutative. Guidare l’espressione del giudizio, UTET 2019, p. 3
Nessun atleta, dopo essere arrivato, in tre diverse gare, una volta terzo, una secondo e una primo, direbbe mai che lui in media arriva secondo alle gare. Non avrebbe senso… eppure è quello che troppo spesso viene fatto a scuola.